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Recensione F.U.N.K.
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martedì 20 maggio 2008
alle
12.34
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Con F.U.N.K. fresco di uscita, pubblichiamo la recensione track-by-track dell'album. Ovviamente i commenti sono i benvenuti, come sempre!
Anno 2008: La crisi petrolifera è ai suoi massimi livelli, l’aumento alle stelle del petrolio sta facendo muovere il mondo verso nuove direzioni, alla ricerca di nuove forme di energia. Anche la musica ha bisogno di nuove direzioni, di nuovi stimoli creativi da cui trarre energie alternative ma vitali. Il percorso per arrivare ad una soluzione efficace non è dei più semplici, in un mondo in cui già molte cose sono state scoperte e da esse sono stati già succhiati tutti i benefici. Qual è allora la strada? Non tutti hanno voglia di rischiare, e spesso si pongono su posizioni “sicure” per cercare di portare a casa la pagnotta. Invece i grandi, quelli veri, si interrogano e si mettono in discussione senza mai rifiatare, esponendosi quasi sempre a critiche feroci da parte di conservatori e innovatori. Ma nel tempo avranno sempre ragione. Ecco cosa succede a Glenn Hughes da ormai molti anni: chi vorrebbe vederlo ancora nei Deep Purple a cantare pezzi divini come “You Keep On Moving”, chi sogna un ripescaggio nei Black Sabbath per gustarsi una nuova “No Stranger To Love”, chi desidera riascoltare le possenti note di “Muscle And Blood” del fortunato Hughes/Thrall (del quale comunque si attende un séguito). E chi conosce la discografia solista di Glenn sa benissimo che ciò accade anche con i suoi stessi album. Glenn ama sperimentare e mettere in discussione le sue stesse idee anche solo a distanza di un anno. Ecco da dove nasce la “Prima Cucina Nucleare Sotterranea”. Non è difficile scoprire che in realtà le quattro parole in inglese ricreano l’acronimo “FUNK” che denota le intenzioni di questo album targato 2008. E’ da qui che nasce questa nuova forma di energia, questa nuova direzione, questo coraggio di cavalcare sempre l’onda più incerta. Ho detto “incerta”: ciò vale per il mercato musicale o per i fans, non per Glenn. L’album è maturo e solido, e ha una fortissima connotazione funk, che tradotto vuol dire: chitarre sporche ma non pesanti, drumming molto improntato sugli accenti, cori molto presenti e dinamiche tastieristiche decisamente vintage. La prima traccia “Crave” parla chiaro, è una dichiarazione d’intenti: l’intro è aggressiva, la strofa tira sul drumming di Chad Smith e sulle serrate ritmiche all’unisono di chitarra e basso, mentre il chorus respira grazie alle doppie voci e alle improvvise sterzate melodiche; e non parliamo del bridge, che contribuisce ad amplificare questa schizofrenia musicale che caratterizza tutto l’album e che riesce ad incastonare perfettamente il piombo con la filigrana d’oro. Si continua con la title-track “First Underground Nuclear Kitchen” che richiama molto lo Stevie Wonder di Songs In The Key Of Life, con la strofa molto heavy-funk e il chorus infarcito di fiati. Il terzo brano “Satellite” è di chiara ispirazione Trapeze. Un pezzo lento, intenso e profondo, caratterizzato da un bel giro armonico che sicuramente sarà molto interessante da ascoltare dal vivo. Si arriva a “Love Communion”, il brano che Glenn ha scelto come singolo: sicuramente è quello che meglio rappresenta il carattere dell’intero album, potente, melodico, funky e serrato. Sulle prime edizioni del cd è anche presente un videoclip di questo bel brano sapientemente al centro fra linee di basso, chitarre graffianti e tastiere soul (suonate qui da Ed Roth). Passiamo avanti e troviamo “We Shall Be Free”: più di qualcuno ripenserà a Feel, l’album targato 1995 che segnò la svolta dall’AOR di From Now On a ciò che poi diventerà la strada più volte battuta dal Nostro. I territori soul e funk sono ormai facilissimi da percorrere per Glenn. Il Fender Rhodes di Anders Olinder è meraviglioso in tutti i brani, ma a me piace particolarmente in questa traccia e in quella successiva: “Imperfection” una sequenza di accordi stupendi per un brano molto sussurrato con inserti di archi e una slide guitar che caratterizza il pezzo dall’inizio alla fine. Luis Maldonado, il chitarrista che Glenn ha scelto per questo album (stavolta come chitarrista principale) è molto attento alla ricerca del suono più che ai tecnicismi, a cui francamente sono personalmente allergico da anni. Ma anche in questo Glenn non si è mai smentito: ha sempre cercato musicisti di sostanza e qualità, basti pensare ai suoi precedenti sessionman, Gary Ferguson, Marc Bonilla, Jeff Kollman, Hans Zermuehlen, Vince DiCola, Matt Sorum, Ma questi sono solo alcuni di una lista lunghissima. E a proposito di sessionman di vecchia data, in “Never Say Never” troviamo George Nastos alle chitarre, a mio parere uno dei migliori musicisti che Glenn abbia mai avuto. Non è un caso che George abbia suonato in molti pezzi del precedente Feel (nonchè sia stato suo compagno di numerosi tour). Il brano in questione è molto acido, crudo e accattivante. Oserei definirlo quasi post-new wave, sia negli intenti sia nella sua essenza sperimentale. Bello davvero. La traccia numero otto è “We Go To War”: anche qui troviamo George Nastos che esalta alla perfezione le due nature di Glenn, quella di bassista rock e quella di cantante soul. Lo capirete ascoltando rispettivamente le strofe e i chorus. Andando avanti con il cd troviamo “Oil And Water” in cui ritroviamo il buon JJ Marsh alle chitarre, che apparentemente non è mai mancato nelle produzioni di Glenn degli ultimi 13 anni, ma dopo Music For The Divine è stato un po’ fuori dal giro perchè si stava dedicando al suo album solista (e forse per qualche piccola incomprensione con Big Daddy). Tornando all’album, Glenn ha lasciato i brani più sperimentali alla fine, affidando la gestione di questa cucina nucleare ai suoi uomini di esperienza. E’ questo che ammiro da tanti anni in Glenn: la sua capacità di evolversi. Giungiamo verso la fine dell’album con “Too Late To Save The World”, Glenn tocca temi importanti come la guerra in più di una occasione e qui lo sottolinea oltre che col testo anche con un assolo molto toccante di JJ Marsh. Anche questo brano ha un giro melodico molto interessante e sempre ben armonizzato dalle tastiere di Anders Olinders. Chiude l’album “Where There’s A Will” che d‡ la definitiva conferma dell’impronta nuova che Glenn ha dato al suo stile. Non ho mai avuto paura a definirlo lo Stevie Wonder bianco, e non ne sto avendo ora. Certo è che i fans più heavy sicuramente resteranno a bocca asciutta. Ma chi ama la musica ed apprezza quella di qualità sa benissimo che ci troviamo di fronte ad un lavoro di ottima fattura, da gustare dall’inizio alla fine. Ho volutamente lasciato per ultimo il mio personale commento su Chad Smith. Merita la menzione d’onore, è un grandissimo batterista e senza di lui tutto l’album avrebbe meno sapore. Glenn Hughes ha trovato il drummer ideale, in grado di baciare le pelli anche con un martello pneumatico fra le mani. La Cucina Nucleare Sotterranea inizierà a funzionare in Europa dal 9 maggio e dal 12 maggio nel resto del mondo (etichetta Frontiers). E Glenn sta lavorando per trasportare questa energia in ogni parte del mondo con i suoi concerti (ricordiamo le due date di maggio 2008 in Italia). Buon ascolto.
Giampiero Frulli |
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